Profondità di campo in fotografia, tutto quello che c’è da sapere per gestirla al meglio

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La profondità di campo in fotografia è quella parte dell’immagine in cui gli oggetti sono percepiti dal nostro occhio ancora nitidi. Questa zona non corrisponde al punto focale, ma lo incorpora, infatti il nostro occhio ha la capacità di percepire con nitidezza non solo un punto, ma anche una zona più o meno grande di fronte e dietro al soggetto. Dunque la profondità di campo non è altro che l’ampiezza della zona nitida nell’immagine. 

In pubblicazioni tecniche può essere abbreviata con l’acronimo PdC (o DoF che sta per Depth of Field) ed è anche definita profondità di campo nitido.

Le unità di misura con cui può essere calcolata riguardano la lunghezza, quindi si ragiona in piedi, metri, centimetri, millimetri e così via. 

La profondità di campo dipende fondamentalmente da tre fattori principali:

  • apertura del diaframma;
  • distanza di messa a fuoco del soggetto;
  • lunghezza focale dell’obiettivo

Ma vediamoli più nello specifico.

Primo fattore: apertura del diaframma

La capacità di controllo che si ha nell’apertura del diaframma riveste un ruolo molto importante, in quanto rappresenta forse la risorsa più creativa a disposizione del fotografo.

Chiarire il rapporto tra profondità di campo e diaframma è molto semplice, basterà ricordarsi due semplici regole:

  • minore è l’apertura del diaframma, maggiore è la profondità di campo a fuoco: avremo quindi una maggiore focalizzazione globale dell’immagine;
  • maggiore è l’apertura del diaframma, minore è la profondità di campo: questo porterà a un aumento della sfocatura davanti e dietro al soggetto messo a fuoco.

Secondo fattore: distanza di messa a fuoco del soggetto

Questo è il fattore che ha il peso maggiore nella variazione della profondità di campo. 

Infatti, più si regola la messa a fuoco per un soggetto lontano dall’obiettivo, maggiore sarà la profondità di campo, ma solamente fino al raggiungimento della distanza iperfocale (di cui parleremo meglio più avanti) oltre cui la profondità di campo tornerà a ridursi.

Possiamo dunque estrapolare, anche in questo caso, due fondamentali regole da tenere a mente:

  • maggiore è la distanza del soggetto messo a fuoco, maggiore è la profondità di campo;
  • minore è la distanza del soggetto messo a fuoco, minore è la profondità di campo.

Questo meccanismo è molto utile, ma è necessario utilizzarlo con attenzione, perché cambiando la distanza dal soggetto, varia anche ciò che si vede nella fotografia. Per questo la distanza di messa a fuoco va utilizzata solo nel caso in cui la dimensione relativa dell’immagine non è importante.

Terzo fattore: lunghezza focale dell’obiettivo 

In questo caso va prima di tutto chiarito che stiamo parlando di lunghezza focale intrinseca, non di lunghezza focale equivalente, poiché è una caratteristica intrinseca dell’obiettivo e la si può trovare sempre indicata nella sua parte esterna.

Si tratta precisamente della distanza fra il centro ottico dell’obiettivo e il piano di messa a fuoco (cioè il sensore). Per questo la si può definire anche distanza focale.

Anche nel caso di quest’ultimo fattore, sarà utile ricordare il rapporto con la profondità di campo, secondo due semplici regole:

  • maggiore è la lunghezza focale dell’obiettivo, minore è la profondità di campo;
  • minore è la lunghezza focale dell’obiettivo, maggiore è la profondità di campo.

Effetto Bokeh

La parola Bokeh viene direttamente dal Giappone e significa letteralmente sfocato, fuori fuoco. Tecnicamente in fotografia si usa per indicare la qualità di sfocatura di un obiettivo. Di conseguenza, quando si parla di effetto Bokeh, si fa riferimento al tipico sfocato che spesso si vede in molte fotografie e che, se fatto in maniera corretta, risulta molto efficace per la composizione della fotografia

Questo tipo di espediente è una risorsa creativa molto importante, poiché consente di giocare molto con il soggetto principale che, stagliandosi nella fotografia, cattura tutta l’attenzione dell’osservatore, senza che essa sia distolta dai dettagli dello sfondo. Infatti, uno sfondo nitido toglie risalto al soggetto principale, rendendo la fotografia meno impattante.

Il rapporto tra la regola dei terzi con la profondità di campo 

La regola dei terzi è forse è il principio di composizione fotografica più conosciuto e si può sintetizzare come una linea guida di composizione delle immagini che divide il campo fotografico in due modi:

  • 2 linee verticali, che identificano 3 segmenti uguali orizzontalmente;
  • 2 linee orizzontali, che identificano 3 segmenti uguali verticalmente.

Queste, chiamate linee di forza, contribuiscono a creare percorsi di esplorazione e l’incontro di esse in alcuni punti focali, detti fuochi, crea 9 spazi di identica dimensione, che rappresentano le aree di maggiore interesse per l’osservatore, rispetto al centro o alla periferia.

Questi aspetti della regola dei terzi sono quelli da sfruttare nella composizione della fotografia.

Utilizzare la regola dei terzi è molto semplice, basterà applicare due semplici accorgimenti:

  • posizionare il soggetto principale, o il suo baricentro, in uno dei fuochi;
  • suddividere l’inquadratura secondo le linee di forza.

Quando l’osservatore si trova a guardare un’immagine composta con la regola dei terzi, da una parte individua a colpo d’occhio e con chiarezza il soggetto principale, ma dall’altra è costretto, per vedere il resto dell’immagine, a distogliere l’attenzione dal soggetto stesso, per osservare ciò che gli sta a fianco, cosa che non avviene quando il soggetto si trova in posizione centrale. 

Nel decentrare i soggetti, quindi, questo espediente fa sì che lo sguardo dello spettatore vaghi, esplorando l’immagine e diventando dinamico.

Cos’è la distanza iperfocale? 

Data una determinata apertura del diaframma, stabilita una certa lunghezza focale dell’obiettivo e scelto un punto da mettere a fuoco, la distanza iperfocale è quella particolare distanza tra l’obiettivo e il punto di messa a fuoco per ottenere la massima profondità di campo. In altre parole è la distanza più ravvicinata alla quale un obiettivo può mettere a fuoco, riuscendo a mantenere una nitidezza accettabile degli oggetti all’infinito.

Nello specifico, quindi, quando si mette a fuoco a questa distanza, tutti gli oggetti che si trovano a una distanza che va dalla metà della distanza iperfocale fino all’infinito, saranno accettabilmente nitidi.

Si è visto come giocare con lo sfocato renda le fotografie molto interessanti, ma a volte vi è la necessità che gli oggetti in primo piano siano nitidi e chiari come quelli sullo sfondo e perché questo avvenga, la tecnica della distanza iperfocale è la migliore.

Come calcolare la profondità di campo

Il calcolo della profondità di campo segue una precisa formula matematica:

H = ((f^2) / (N * c)) + f

In cui:

  • H è la distanza iperfocale in millimetri;
  • f è la lunghezza focale in millimetri;
  • N è l’apertura del diaframma (espresso come rapporto di apertura);
  • c è il circolo di confusione.

Tuttavia in pochi applicano davvero questa formula matematica, decidendo di affidarsi a tabelle consultabili sulla profondità di campo o all’uso di app per calcolarla.

Fare simulazioni con numeri reali può tornare utile per farsi una propria idea di come la profondità di campo possa variare significativamente al variare dei parametri. In ogni caso con il tempo, la sensibilità personale e l’esperienza danno modo di padroneggiare la profondità di campo, senza la necessità di calcolarla.

Esprimere la propria creatività grazie alla profondità di campo

La profondità di campo può rivelarsi molto importante per esprimere la propria creatività. La scelta di una determinata profondità di campo può rappresentare per il fotografo un mezzo fondamentale per dare un punto di vista artistico alla propria fotografia. 

Cambiare la profondità di campo consente di stravolgere completamente la percezione del soggetto nella foto. Stabilire, infatti, cosa far rientrare nella zona di nitidezza e quindi decidere la profondità di campo, è uno tra gli elementi più importanti con cui dare sfogo alla propria creatività in un equilibrio o scontro tra soggetto e sfondo, che sfrutta i colori e le relazioni tra i vari elementi dell’immagine.

Il rapporto tra macrofotografia e profondità di campo

La macrofotografia è un genere fotografico che, grazie a speciali tecniche, cerca di ottenere immagini di soggetti molto piccoli attraverso forti rapporti di ingrandimento. Si può parlare di macrofotografia quando il rapporto di riproduzione del soggetto è pari o superiore ad 1 (≥ 1:1), ossia solo nella condizione in cui le dimensioni dell’immagine corrispondano a quelle del soggetto su scala reale o superiori.

Il rapporto tra macrofotografia e profondità di campo è molto critico. Il problema principale è, infatti, che la ridotta profondità di campo permette di mettere a fuoco solo una zona ristretta e quindi solo una piccola frazione del soggetto inquadrato. 

Questa problematica deriva dal rapporto tra le dimensioni fisiche del soggetto e quelle del sensore, che si accentua all’aumentare dell’ingrandimento.

Per questa ragione questo genere fotografico prevede una tecnica e un livello di postproduzione molto alto, rispetto alle altre tipologie di fotografia più tradizionali, che gli consente di unire molteplici scatti, ottenendo in questo modo un’immagine in cui ogni parte del soggetto è a fuoco.

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